Sono proprio un’orfana della Prima Guerra Mondiale, nata il 13/01/1913, così pure mio fratello nato il 04/02/1916. Entrambi abbiamo conosciuto nostro padre solo dalle fotografie perché è morto in prigionia a Grodeg (Austria) per le ferite riportate in località Melette nella famosa ritirata dopo la disfatta di Caporetto.
Mia madre, rimasta vedova, lavorava presso un piccolo opificio per le finiture dei cappelli; mi aveva sistemata presso una famiglia di Villasanta dove fui accudita con amore e affetto.
Mio fratello venne invece sistemato presso una famiglia di Muggiò dove, purtroppo, non ricevette le mie stesse attenzioni.
Ricordo una scena particolare: la mamma era andata a trovarlo e, al momento di lasciarlo, lui piangeva e continuava a gridare: ” Mamma, mamma!”. Quella figura implorante la rivedo ancora oggi davanti agli occhi.
Inizio le scuole elementari nell’ottobre del 1918, a sei anni compiuti: a quel tempo il primo ciclo di istruzione arrivava fino alla sesta classe ed io lo portai a termine senza difficoltà.
In famiglia la povertà era di casa, eppure la mia infanzia è stata anche felice.
Nel mio caseggiato, molto grande, vicino al Duomo di Monza, eravamo tanti coetanei:si andava a scuola, piuttosto lontana, in compagnia di otto/dieci ragazze e ragazzi, sempre allegri e contenti. Lungo la strada,ritornando a casa, si correva lieti di vedere chi era il più veloce ed in inverno, quando sulla piazza del Duomo c’era la neve alta almeno dieci cm., si faceva una gara buttandosi all’indietro: doveva risultare una figura perfetta!
Mia madre, risposatasi con un semplice manovale che lavorava alla Breda di Sesto S. Giovanni, era rimasta incinta e negli ultimi tre mesi di gravidanza, per non perdere il lavoro, se lo faceva recapitare a casa: al mattino presto arrivavano 15/20 cappelli, che venivano poi ritirati poi verso sera. Io l’aiutavo a preparare gli aghi infilati con il filo della stessa lunghezza: servivano per fermare il nastro intorno al cappello ed inoltre cucivo delle asoline bianche molto piccole per assicurare il marocchino interno; l’esserle stata di aiuto mi rendeva molto orgogliosa!
Il 12-3- 1921 nacque mia sorella e la mamma, oltre al lavoro manuale e a tutto il restante per la casa, si era assunta l’impegno di allattare anche un altro bimbo, tutto per arrotondare un po’ le finanze; eppure non l’ho mai vista piangere o lamentarsi… Aveva un viso pacato e buono e gli occhi sorridenti; tutti quelli che la conoscevano le volevano bene e si rivolgevano a lei se avevano bisogno di aiuto o di consiglio..
La situazione finanziaria migliorò un pochino quando io, a 13 anni (era il 1926), entrai nel cappellificio Ricci, situato vicino all’ospedale, in quella che allora era la periferia di Monza. Il mio orario di lavoro era dalle 8 del mattino alle 12 e dalle 14 alle 18.
Io e una mia compagna, che abitavamo entrambe vicino al Duomo, percorrevamo 4 volte al giorno un tragitto di 20/25 minuti a piedi, eppure quella è stata la nostra salute. Una delle maggiori soddisfazioni fu a 15 anni, quando con altre tre ragazze mi assegnarono il lavoro su uno dei nuovi macchinari dove si iniziava la formazione del cappello. Per una quindicina di giorni il direttore e il caporeparto controllavano la qualità e la perfezione nel peso, la fattura senza pieghe e tutto questo dipendeva da noi giovani; finalmente, un mattino, riconobbe la nostra bravura e fu soddisfatto, insieme a noi,di aver raggiunto il suo scopo.
La mia paga quindicinale aumentò ed a mia volta ebbi la prima mancia… che non vedevamo l’ora di spendere al sabato quando, terminato l’orario di lavoro alle 13, si andava in pasticceria a gustarci un dolce, se d’inverno, o un gelato d’estate.
Dai 15 ai 16 anni, poi, seguii un corso di taglio – cucito – ricamo, abilità che mi sono stata preziose nella vita, prova ne è che il cucito lo eseguo ancora oggi, a 96 anni!
La mia adolescenza fu quindi serena, benché vissuta nella massima povertà; persino l’alimentazione era ridotta a pane (la famosa michetta fresca e buona), latte, polenta, formaggio, minestrone. La preparazione giornaliera di quest’ultimo, che consisteva nel pulire, lavare, tagliare tutte le verdure, fu di mia competenza dagli 8 ai 14 anni. Rivedo quegli anni nella mente e ancora oggi non provo né invidia né rammarico, anzi, ho la sensazione di averli trascorsi, nonostante tutto, lieta e contenta.
Forse c’erano meno divertimenti e, sicuramente, meno agi rispetto a quelli a cui sono abituati i giovani di questo tempo. Però ogni tanto mi chiedo se dietro ai nostri sacrifici e alla nostre rinunce non ci fosse un senso della vita e una gioia della conquista quotidiana che oggi sono stati dimenticati.
Giuseppina Taglioretti